I migliori amici

C'è chi preferisce i gatti e chi i cani. Queste simpatie rivelano qualcosa sulla psicologia di donne e uomini? Patrizia Torricelli ci racconta i risultati di un'originale ricerca sulla "gente da gatto" e la "gente da cane".

Sono così diversi, il cane e il gatto, eppure sono decisamente alla pari quando si tratta di entrare nella casa dell'uomo per recitare la parte di "uno di famiglia". Dipende, probabilmente, dal fatto che, se guardiamo le cose dalla parte dell'uomo, scopriamo che c'è chi "tiene" (verbo da tifo calcistico) per il cane, chi per il gatto. Ciò, ovviamente, dipende dalle differenti caratteristiche dei due domestici; dipende però anche dalla diversità (biodiversità) che si rinviene all'interno dela specie umana. E', in altre parole, soprattutto una questione di etologia dell'uomo. Esiste, a charirci un poco le idee, la ricerca di due studiosi americani, Aline e Robert Kid, che hanno confrontato la personalità di 200 uomini e donne, di età compresa tra i 18 e i 76 anni, tutti possessori di un cane o di un gatto. Riassumo, brevemente, i principali tratti del carattere di queste persone.

Gente da cane o da gatto

Il 48 per cento della "gente da cane" risulta essere molto attratta dai bambini piccoli, contro il 30 per cento della "gente da gatto". Il 30 per cento dei primi, inoltre, gradisce la compagnia di adolescenti mentre, per quanto riguarda i secondi, si scende sotto il 15 per cento. I proprietari di cani hanno poi ottenuto un punteggio più alto per una caratteristica della personalità che viene, secondo la terminologia anglosassone, denominata nrturnce, che all'incirca sarebbe il desiderio di venire coinvolti nella vita e nei problemi altrui. Risulta infine che gli amanti dei cani sono più aggressivi e hanno una maggiore tendenza alla predominanza sociale che non gli amanti dei gatti. Le donne "da gatti", in special modo, sono decisamente sotto la media femminile per quanto riguarda l'aggressività.

 

Milano da pagare cara

E' più pesante la spesa per il tempo libero. Si risparmia nel settore degli alimentari

Il ventilato aumento del prezzo del biglietto nei cinema fa discutere. Per i milanesi il '98 è cominciato male. Soprattutto se si tiene conto che il nuovo anno porta con sé due altri rincari certi: le tariffe Atm e la tassa rifiuti, mentre è tutto da discutere un ritocco dell'imposta sulla pubblicità. Ma quanto ci costa questa città? E' davvero uno dei posti più cari d'Italia?
Scorrendo la classifica Istat '97 dei capoluoghi più cari, si scopre che Milano non è al primo posto tra le grandi metropoli. Il primato dei rincari spetta a Napoli e Roma che registrano una variazione media annua pari al 2,3%. Mentre Milano, con un andamento annuo dell'1,9%, uguale a quello di Torino e Reggio Calabria, è molto vicina alla media nazionale del '97, che è dell'1,7%. Ma se Milano è preceduta da città come Campobasso (2,2%) e Cagliari (2%), d'altra parte batte in costo della vita Bologna, Firenze e Venezia.
Insomma non è del tutto errata la sensazione di quei milanesi che, avendo girato un po' l'Italia, troverebbero più conveniente vivere altrove. Ma non bisogna neppure generalizzare. Le statistiche Istat ci rivelano che a Milano nel '97 il prezzo degli alimentari è diminuito dello 0,3% rispetto all'anno precedente, laddove a Firenze è rimasto invariato e a Napoli è addirittura aumentato dell'1,6%. Mentre la media annua nazionale registra una diminuzione inferiore a quella milanese, pari allo 0,1%. Nel campo degli alimentari, in particoclare, Milano è una città esemplare per la varietà della scelta, come rivela un'indagine del '97 condotta dal Comitato consumatori Altroconsumo sui supermercati. Basta sapersi muovere e in un anno si può risparmiare circa un milione e 600 mila lire, pari al 15,9%. Una percentuale superiore a quella di Napoli (9,5%), Torino (12,3%), Venezia (10,3%) e Roma (12,1%) ma inferiore alla primatista Bologna (21%).
Il discorso si ribalta quando passa al costo dell'abitazione, aumentato nel '97, a Milano, del 3,9% rispetto all'anno precedente, laddove la media nazionale è del 4,7%, una percentuale che va addebitata poco alle grandi città. Si tratta peraltro di rincari dovuti più alle voci energetiche che a quelle dell'affitto.
A Milano inoltre costano particolarmente il tempo libero (+ 1,5% a fronte di uno 0,7% nazionale) e i pubblici esercizi (+2,8% contro la media italiana del 2,4%) . Come dire che un aumento del biglietto del cinema in questo momento sarebbe inopportuno. Ma anche qui la macchina del tempo potrebbe riservarci qualche sorpresa. Nel '70 andare al cinema costava 1.500 lire. Verissimo. Ma proviamo ad attualizzare quella somma. Se 100 lire del '70 sono l'equivalente di 1.241 lire di oggi, le 1.500 lire del '70 corrispondono a 18.628 lire attuali. Insomma 28 anni fa si pagava di più...

Antonella Baccaro

esempio di  evidenziazione di parole da repertorio

Scorrendo la classifica Istat '97 dei capoluoghi più cari, si scopre che Milano non è al primo posto tra le grandi metropoli. Il primato dei rincari spetta a Napoli e Roma che registrano una variazione media annua pari al 2,3%. Mentre Milano, con un andamento annuo dell'1,9%, uguale a quello di Torino e Reggio Calabria, è molto vicina alla media nazionale del '97, che è dell'1,7%. Ma se Milano è preceduta da città come Campobasso (2,2%) e Cagliari (2%), d'altra parte batte in costo della vita Bologna, Firenze e Venezia.
Insomma non è del tutto errata la sensazione di quei milanesi che, avendo girato un po' l'Italia, troverebbero più conveniente vivere altrove. Ma non bisogna neppure generalizzare. Le statistiche Istat ci rivelano che a Milano nel '97 il prezzo degli alimentari è diminuito dello 0,3% rispetto all'anno precedente, laddove a Firenze è rimasto invariato e a Napoli è addirittura aumentato dell'1,6%. Mentre la media annua nazionale registra una diminuzione inferiore a quella milanese, pari allo 0,1%. Nel campo degli alimentari, in particolare, Milano è una città esemplare per la varietà della scelta, come rivela un'indagine del '97 condotta dal Comitato consumatori Altroconsumo sui supermercati. Basta sapersi muovere e in un anno si può risparmiare circa un milione e 600 mila lire, pari al 15,9%. Una percentuale superiore a quella di Napoli (9,5%), Torino (12,3%), Venezia (10,3%) e Roma (12,1%) ma inferiore alla primatista Bologna (21%).
Il discorso si ribalta quando passa al costo dell'abitazione, aumentato nel '97, a Milano, del 3,9% rispetto all'anno precedente, laddove la media nazionale è del 4,7%, una percentuale che va addebitata poco alle grandi città. Si tratta peraltro di rincari dovuti più alle voci energetiche che a quelle dell'affitto.